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“Mi ha legato entrambe le braccia e ha detto che mi avrebbe tatuato la faccia. Ho pianto, l’ho pregato. Gli ho chiesto di non farlo perché avrebbe distrutto la mia vita e lui ha detto che lo avrebbe fatto comunque. E mentre urlavo, mi ha colpito. Non ho visto il tatuaggio fino a quando era finito. Quando ho guardato, non ero più io. Mi ha ucciso dentro, ha chiuso con me marchiandomi e dicendo che sono di sua proprietà.”
Questa sono le parole di Tayane, una diciottenne brasiliana che mentre andava a scuola è stata rapita dal suo ex, con cui aveva avuto una relazione durata due anni.
Lui l’ha obbligata a salire in macchina, l’ha portata a casa sua, dove ha iniziato a seviziarla fino a tatuarle il proprio nome sulla guancia destra. L’ha marchiata come si fa con i capi di bestiame: così sarebbe stata di sua proprietà.
Un’azione da squilibrato?
Certamente, ma non si tratta di un caso isolato, perché è accaduto anche in Italia.
A cominciare dalle donne sfregiate con l’acido per punizione, come nel caso di Lucia Annibali e Gessica Notaro, di cui tutti conosciamo la storia e il coraggio sovrumano.
Ma moltissime donne ogni giorno vengono punite e umiliate per essersi ribellate.
Nel marzo 2021, in provincia di Brescia, un uomo ha picchiato la sua ex, l’ha rapita e poi l’ha obbligata a camminare nuda in un bosco e a chiedergli perdono per aver troncato la loro relazione.
A giugno 2020, a Roma, un uomo ha rapito la ex compagna segregandola nella sua abitazione.
Viviamo in una società maschilista in cui serpeggia ancora l’idea tossica e crudele secondo cui la donna appartiene all’uomo. Un concetto talmente radicato da scatenare gesti aberranti, come rapimenti e sevizie.
Cosa si può fare?
Educare le nuove generazioni, parlare con i propri figli e compagni, combattere con ogni strumento qualunque mentalità che reprima la libertà delle donne.
Perché, come disse Franca Viola, prima donna in Italia a rifiutare il matrimonio riparatore negli anni Sessanta: “Io non sono proprietà di nessuno”.

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