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Cloe viveva in un camper: la sua casa, che si è trasformata nella sua tomba.
Ha deciso di togliersi la vita dando fuoco al camper e lasciandosi divorare dalle fiamme.
Lo aveva annunciato sul web, il luogo a cui affidava i pensieri e le emozioni, il megafono per urlare al mondo il suo dolore.
Ma forse non c’era nessuno ad ascoltare. E Cloe ha deciso di porre fine a un’esistenza di sofferenza e pregiudizi.
Cloe Bianco era un’insegnante transgender.
Nel 2015, con coraggio, aveva deciso di fare finalmente coming out.
Addio al professor Luca Bianco (questo il suo nome all’anagrafe): nell’istituto agrario in cui lavorava, in Veneto, ci sarebbe stato posto solo per la professoressa Cloe Bianco.
Una mattina si era presentata in abiti femminili, mostrando ai suoi allievi ciò che era realmente: “Da oggi potete chiamarmi Cloe” aveva detto.
Ma le cose non sono andate come si augurava.
In breve tempo la notizia si è trasformata in un boomerang contro di lei, alimentato dalla politica locale che ha definito con disprezzo il suo coming out “una carnevalata”.
Prima la sospensione dall’insegnamento per tre giorni, impugnata nelle aule di tribunale ma senza esito positivo, poi l’allontanamento definitivo dalla cattedra: nonostante le competenze, relegata a ruoli marginali nelle segreterie degli istituti della provincia di Venezia.
Punita per aver scelto di essere donna.
Ripudiata da una società abile nell’emarginare e mediocre nel comprendere. La stessa società che ora versa chiassose lacrime di coccodrillo in memoria di Cloe Bianco.
Con la sua morte cambierà qualcosa?
Forse no.
L’indignazione e il rammarico svaniscono sempre più velocemente dei pregiudizi e dell’ipocrisia.

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