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È accaduto a Gragnano, vicino a Napoli.
Un ragazzino di 13 anni, qualche settimana prima dell’inizio delle scuole, ha aperto una finestra di casa e si è lanciato di sotto, dal quarto piano.
A spingerlo a un gesto così atroce è stato il cyberbullismo, termine ormai noto alle pagine di cronaca che in questo caso si concretizza in un gruppetto di coetanei che da mesi lo istigava al suicidio con continui e incalzanti messaggi. Purtroppo alla fine il ragazzo non ha retto, e ha deciso di morire.
Dalle prime indagini sembra che la spietata chat fosse capeggiata dalla fidanzatina del giovane che, sentendosi trascurata, si era accanita contro di lui, il che rende la notizia ancora più incomprensibile.
Non possiamo sapere se il gruppo di adolescenti si rendesse realmente conto dei rischi e delle conseguenze cui andava incontro o se agisse con leggerezza, come per una goliardata.
In entrambi i casi, considerato il tragico epilogo, non esiste alcuna giustificazione.
Capita però talvolta che dinanzi a un aspirante suicida, già in piedi sul cornicione di un palazzo, si raduni una piccola folla di perditempo, che magari, quando l’incertezza prevale sull’insano gesto e c’è ancora tempo per dissuadere l’uomo dal compierlo, inizi a gridare: “Buttati! Falla finita!”, quasi fosse un gioco.
È probabile che in nessuno dei passanti esista realmente il desiderio di veder morire un uomo, ma che semplicemente non diano peso alle proprie parole, o si ritengano spiritosi, almeno finché non lo vedranno cadere sull’asfalto.
Con il mondo virtuale le cose non sono poi diverse. Il mezzo anzi, nella sua evanescenza, rende ancora più difficile comprendere fino in fondo quanto le parole possano pesare sulle fragilità personali.
Purtroppo ognuno di quegli adolescenti, crescendo, porterà con sé un peso enorme, che niente e nessuno potrà allievare. Ecco perché noi adulti dobbiamo sempre vigilare sulle dinamiche del loro universo online, quel luogo sterminato in cui soprattutto i più giovani sono perennemente connessi.

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