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I proprietari di un’azienda di abbigliamento sportivo, valutata 3 miliardi di dollari, hanno trasformato l’impresa di famiglia in un’associazione no profit, allo scopo di garantire che almeno 100 milioni di dollari (secondo la stima dei profitti annui) vengano regolarmente impiegati per la salvaguardia dell’ambiente.
Patagonia, questo il noto marchio della società californiana, è specializzata in indumenti per la montagna e per gli sport all’aperto. Il suo fondatore Yvon Chouinard, da sempre convinto ecologista, oltre a operare direttamente contro il cambiamento climatico e a favore della preservazione ambientale, con questa decisione spera di influenzare altri ricchi capi di industria a imitarlo, augurandosi la nascita di un futuro capitalismo dal volto umano, che sappia conciliare i guadagni con una crescente sensibilità verso il pianeta, le persone e gli altri esseri viventi che lo abitano.
La cosiddetta ondata “green” sta investendo sempre più aziende negli ultimi anni.
Sicuramente il trend è dettato da motivazioni pubblicitarie ancor prima che filantropiche. Queste sono le regole del gioco. Tuttavia, ai fini pratici, poco importa che la svolta eco-sostenibile sia effettivamente condivisa da chi la opera o sia solamente di facciata.
Sono i risultati quelli che contano.
L’unico aspetto davvero importante è che l’abbassamento del CO2, il contrasto al riscaldamento globale, l’incremento nella produzione di energia rinnovabile, la difesa della natura sono obiettivi che possono essere raggiunti realmente, se ognuno fa la propria parte.

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