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“Si morse.
Lasciò che i denti affondassero nella pelle delle braccia e violentemente ripeté quel gesto orribile ma rilassante.
Quando in bocca sentì il sapore del sangue, respirò profondamente, aprì il rubinetto del lavandino e bagnò con acqua fredda la pelle.
Evitò di guardarsi allo specchio. La sua immagine la disgustava.
Aspettò qualche minuto e si preparò a sorridere, prima di uscire dal bagno. Fuori, nel salone, la famiglia era riunita come sempre.
Nessuno si era accorto dei morsi con cui ogni giorno feriva il suo corpo, nella speranza che quel dolore di cui non parlava mai svanisse.
Non che parlarne avrebbe fatto differenza, anzi. Quando lo aveva raccontato, era stata ignorata; di più: non era stata creduta.”
Il brano che avete letto è tratto dalla raccolta di racconti “La mia patria sono io”, di J.H. Yasmin: e se a farci del male è proprio chi dovrebbe proteggerci?
Che succede nella mente e nel cuore, quando tra le nostre radici si insinuano gli autori della violenza che cambierà per sempre la nostra vita?
È un dolore doppio perché, se anche riusciamo a odiare chi ci ha fatto del male, i sentimenti verso quei famigliari che pur sapendo la verità si ostinano a tacere sono purtroppo contrastanti.
All’improvviso una madre, un padre o un fratello diventano complici del male, rimanendo tuttavia parte integrante di noi. Vorremmo ricevere protezione, comprensione e amore. Ma, al contrario, riceviamo indifferenza e silenzio, che forse feriscono più della violenza stessa.
Come sfuggire a questa dolorosa omertà?
È essenziale denunciare per avere giustizia. Bisogna allontanare e punire i colpevoli, perché le mura domestiche non diventino una ingiusta attenuazione di colpa.
E bisogna farsi forza: convincersi che, sì, possiamo farcela, dando a noi stessi importanza e amore.
Ma è una lotta continua, tra noi e le nostre aspettative.
Tra noi e quell’idea sana di famiglia che avevamo.
Non ne usciremo indenni, ma l’aver provato a venirne fuori per superare il trauma e la brutale delusione provati è il primo passo per salvarsi.
Affrontare il terremoto emotivo provocato dal doppio tradimento famigliare ci offre la possibilità di guarire, per continuare a vivere.

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