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“Il buio li inghiottì, e in lontananza l’eco degli spari della guardia costiera egiziana sembrò un brutto sogno.
Wafaa si addormentò cullata dalle onde, mentre l’acqua le schizzava il viso e i pianti e le preghiere intorno a lei l’accompagnavano nel sonno.”
Quello che avete appena letto è un brano tratto da “La mia patria sono io”, un libro in cui racconto la vita di alcune donne che ho incontrato in Egitto.
In questi giorni di freddo gelido, anche al Cairo, il mio pensiero costante è rivolto a chi attraversa confini e percorre strade che sembrano infinite per raggiungere un luogo sicuro.
Chilometri e chilometri di cammino impervio, migliaia di passi per arrivare dove si possa iniziare una nuova vita.
Le cronache raccontano incessantemente di viaggi della speranza, via mare e via terra, di famiglie intere, di madri e padri con i loro figli, che per sfuggire da bombe e da guerre civili scelgono l’incertezza piuttosto che la certezza di una morte quasi inevitabile.
Ho avuto l’onore, per un lungo periodo, di prendermi cura di famiglie siriane scappate dalla guerra e arrivate con mezzi di fortuna in Egitto. Non dimenticherò mai quegli occhi lucidi nel tentare di spiegare la loro vita agiata e rassicurante, esplosa sotto qualche ordigno, o le storie di quotidiana serenità che ripercorrevano tra una lacrima e un sorriso ricordando momenti del passato.
Mi raccontavano la loro vita trascorsa, mentre cercavano di iniziarne una nuova. E quando risultava impossibile sopravvivere con dignità in Egitto, mi salutavano addolorati prima di imbarcarsi per viaggi via mare verso le coste italiane.
Molti sono arrivati, molti altri non so che fine abbiano fatto.
Dei nostri incontri, quello che rimane impresso dentro di me è il loro dolore. E lo rivedo ogni volta che nei notiziari parlano di arrivi, di respingimenti, di morti, di dispersi.
Penso a questi uomini e donne che mossi dalla speranza e dalla convinzione che i diritti umani in Europa vengano rispettati per tutti si spingono dove non avrebbero mai pensato di poter arrivare.
Penso alla loro vita passata, alla normalità e alla sicurezza spazzate via in un attimo, e so con certezza che potrebbe accadere a tutti noi, ovunque nel mondo.
In questa era di fragilità universale porgere una mano e un sorriso a chi non ha più niente dovrebbe essere naturale come respirare, perché non si può considerare nemico chi fugge dalla morte e dalla disperazione più assoluta, non gli si può essere ostili.
(J.H. Yasmin)

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