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#paroladautore

 

Giorni fa, mentre lavoravo a un testo per questa rubrica, tentando di confinare le parole in 2200 battute – spazi inclusi e incluso un senso compiuto: signor Insta, ma perché non essere più generosi sulla lunghezza consentita? – mi sono resa conto che quello che stavo scrivendo non era un raccontino, ma l’idea per un nuovo romanzo. Neanche il tempo di esultare e già mi ero trasformata nella caricatura di me stessa, quando penso di essere una scrittrice: un attimo prima ero una donna serena e rubiconda, un attimo dopo avevo le guance scavate, il colorito spento, i capelli unti e lo sguardo spaurito. Un effetto istantaneo e irreversibile, come se un enorme tatuaggio a forma di sconforto e macchina da scrivere si fosse impresso su di me, dalla testa ai piedi: sono una fallita?
Non avevo neanche cominciato a scrivere – non ho un titolo, non ho una storia definita, non ho tutti i personaggi, ho soltanto quest’ideuzza carina, che ossessiona ogni mio pensiero pure mentre dormo – e già si era impadronito di me un gigantesco senso di sfiducia sulla reale portata del mio comprendonio, e sorvolo sulle capacità artistiche.
Da quel giorno balbetto, tremo e inciampo ovunque, in piena botta di adrenalina e sconquasso emotivo. Non mi ricordo un sinonimo, un congiuntivo, un avverbio, sbaglio le doppie consonanti anche delle parole che penso. Ma se non scrivo questa storia continuerò a sognarla, notte dopo notte, e sarà un tormento.
Il demone della scrittura ha lanciato il suo guanto e io raccolgo la sfida. Mi avventuro per questa strada che sarà lunga e in salita, con un po’ di rammarico per i miei editori di Pop Edizioni: mi sento schiacciata dalla vostra gentile fiducia. Grazie, e grazie anche per il  fondo che avete istituito a sostegno dei vostri autori durante l’emergenza di questi ultimi due mesi: un bonifico a tre zeri non mi ha risolto i problemi di autostima, ma la lista della spesa sì. È quello che ogni editore dovrebbe fare: offrire tutela ai propri scrittori, anche quando le cose vanno male e le librerie sono chiuse. E se voi siete troppo garbati per dirlo, lo dico io. Bravi. (E non mi censurate le ultime cinque righe!)

Maria Tina Bruno

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