La catastrofe della miniera di Arsia, in Istria, è stato uno dei disastri minerari più gravi di tutti i tempi, sicuramente il peggiore della storia italiana.
Alle 4 del mattino del 28 febbraio 1940 una fuga di gas nella miniera causò una serie di esplosioni da cui divampò un incendio che costò la vita a 186 persone tra italiani, sloveni e croati.
Un dramma di cui si è sempre saputo davvero poco.
Il motivo lo spiega il fumettista bolognese Giorgio Franzaroli nella sua graphic novel “Orrido famigliare”, in cui racconta la storia dei suoi nonni, Lucia e Riccardo.
Riccardo, in quanto dissidente, venne spedito dal regime fascista nella miniera di Arsia, che lo impiegò come fuochino, per fare esplodere i varchi minerari con la dinamite, e come picconatore.
Un cambio di turno casuale quella notte gli salvò la vita.
Le esplosioni e l’incendio resero impossibili i soccorsi. E quando la popolazione di Arsia decise di avvisare le famiglie dei minatori morti, le camicie nere lo vietarono categoricamente.
Per la propaganda fascista, infatti, quella miniera era un vanto, tanto che Mussolini stesso aveva partecipato alla sua inaugurazione: se si fosse saputo del disastro, il disonore sarebbe stato enorme. L’ordine fu tassativo: insabbiare tutto, oltraggiando la memoria di quasi duecento uomini bruciati vivi.
“Orrido famigliare” è un’opera che, attraverso il linguaggio del fumetto, sceglie di raccontare anche questa pagina di storia coperta dal silenzio, nello sguardo di un uomo e una donna che hanno vissuto sulla propria pelle l’avvento e la ferocia del fascismo, l’esilio, le persecuzioni.
Ed è anche grazie a Giorgio Franzaroli se oggi sappiamo qualcosa in più del dramma della miniera di Arsia.