Nel mio libro “I confini del male”, una raccolta di racconti brevi, cerco di testimoniare la ferocia che si annida nella nostra società, la bestia che si nasconde dietro i sepolcri imbiancati.
Mi ha mosso alla scrittura del testo una serie di notizie di cronaca o episodi della quotidianità anche più prossima, che mostrano la parte umana più brutale: femminicidi, torture su animali, omicidi per futili motivi, pedofilia, maltrattamenti, bullismo. Tutto ciò che può essere riassunto con la sopraffazione del forte verso il debole. Casi estremi, che tuttavia si fanno paradigmatici della nostra più oscura natura.
È lo sconcerto che mi ha spinto a un’impresa letteraria del genere. Certo, il mio libro è una denuncia dei tempi correnti, ma parla anche di un tratto caratteriale della nostra specie che viene da lontano, perché la violenza è insita in noi almeno quanto la volontà di imporci gli uni sugli altri.
Il nostro cervello – e di conseguenza i sentimenti che ne scaturiscono – è diviso in tre parti: quella più recente, quella propriamente umana, detta “neocorteccia”, a cui si deve per esempio la predisposizione verso il prossimo, si forma appena 100.000 anni fa. Non c’è da stupirci, dunque, se gli antichi istinti riescano spesso a vincere i freni inibitori creatisi più di recente.
C’è una legge inscritta in noi per contrastare queste pulsioni ancestrali: è l’empatia, la capacità di mettersi nei panni altrui per comprendere la sofferenza di chi ci sta di fronte, una forma di intelligenza che oggi viene chiamata “intelligenza emotiva”. In filosofia si parla di “genio morale” per intendere chi abbia il più alto grado di comprensione degli altri, che è innata quanto l’intelligenza speculativa. Il genio morale potrebbe essere un perfetto idiota sull’altro versante, quando cioè deve capire una formula matematica o un ragionamento, o anche solo nella pratica quotidiana, ma resta un genio dal punto di vista emotivo. Ma non vuol dire che tutti, alla nascita, siano provvisti di empatia in egual misura. Nella maggior parte dei casi, l’educazione sociale e culturale saranno chiamate a compensare questo tipo di mancanza.
Mi ha mosso alla scrittura del testo una serie di notizie di cronaca o episodi della quotidianità anche più prossima, che mostrano la parte umana più brutale: femminicidi, torture su animali, omicidi per futili motivi, pedofilia, maltrattamenti, bullismo. Tutto ciò che può essere riassunto con la sopraffazione del forte verso il debole. Casi estremi, che tuttavia si fanno paradigmatici della nostra più oscura natura.
È lo sconcerto che mi ha spinto a un’impresa letteraria del genere. Certo, il mio libro è una denuncia dei tempi correnti, ma parla anche di un tratto caratteriale della nostra specie che viene da lontano, perché la violenza è insita in noi almeno quanto la volontà di imporci gli uni sugli altri.
Il nostro cervello – e di conseguenza i sentimenti che ne scaturiscono – è diviso in tre parti: quella più recente, quella propriamente umana, detta “neocorteccia”, a cui si deve per esempio la predisposizione verso il prossimo, si forma appena 100.000 anni fa. Non c’è da stupirci, dunque, se gli antichi istinti riescano spesso a vincere i freni inibitori creatisi più di recente.
C’è una legge inscritta in noi per contrastare queste pulsioni ancestrali: è l’empatia, la capacità di mettersi nei panni altrui per comprendere la sofferenza di chi ci sta di fronte, una forma di intelligenza che oggi viene chiamata “intelligenza emotiva”. In filosofia si parla di “genio morale” per intendere chi abbia il più alto grado di comprensione degli altri, che è innata quanto l’intelligenza speculativa. Il genio morale potrebbe essere un perfetto idiota sull’altro versante, quando cioè deve capire una formula matematica o un ragionamento, o anche solo nella pratica quotidiana, ma resta un genio dal punto di vista emotivo. Ma non vuol dire che tutti, alla nascita, siano provvisti di empatia in egual misura. Nella maggior parte dei casi, l’educazione sociale e culturale saranno chiamate a compensare questo tipo di mancanza.
P.G. Daniel