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“Dopo Sara nacque Afaf e poi Nabil, il primo dei loro figli maschi. Il piccolo ebbe però vita breve, morì ancora neonato per una polmonite non curata, anche se il decesso fu dichiarato solamente di volere divino.
Il bambino era troppo piccolo per essere portato al cimitero, non avendo ancora compiuto quaranta giorni, così Fawzeya e sua suocera, con l’aiuto degli altri famigliari, scavarono una buca nel pavimento della loro camera da letto e seppellirono il piccolo, che era stato infilato in una olla di terracotta, di quelle usate per cuocere i legumi.
Fawzeya soffrì molto per la morte di quell’unico figlio maschio, il primo che era riuscita a regalare a suo marito.
Dal canto suo Farid, a cui fino ad allora interessava poco avere o meno figli maschi, si rese conto solo quando Nabil morì di quanto fosse dispiaciuto e addolorato per quella perdita.”
Il brano che avete appena letto è tratto da “La mia patria sono io”: un libro di cui andiamo fieri.
J.H. Yasmin è una donna di origini italo-egiziane nata in Italia e trasferitasi in Egitto. Ed è proprio dal Cairo che ci ha inviato il suo manoscritto, che abbiamo subito deciso di pubblicare.
Sono le storie di nove donne egiziane che l’autrice ha raccolto direttamente dalla loro voce. Storie dolenti e gioiose, che ci restituiscono un mondo apparentemente distante, ma che in realtà ci è contemporaneo e si trova sull’altra sponda del Mediterraneo, a pochi chilometri dalle nostre coste.
Le atmosfere esotiche ci riportano in maniera talvolta dolce, altre volte brutale, realtà a noi sconosciute, come pure situazioni che nonostante il differente stile di vita diventano universali e possono parlare ai nostri cuori con la stessa intensità con cui si rivolgono a un abitante del Cairo.
Proprio come questa piccola storia, inserita in un racconto più ampio, che parla di un bambino morto prematuramente, che i genitori addolorati decidono di tenere per sempre vicino, tumulandone il corpicino sotto i loro piedi.

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