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Roberta Margiotta è una giovane poetessa. “Ero feroce in sogno” è il titolo della sua raccolta di poesie, pubblicata da Pop Edizioni.
All’interno troverete versi carichi di malinconia e ricchi di riflessioni sulla condizione umana, come in questo componimento, il dodicesimo, da cui traspare un tenue struggimento.
“Maledetta notte
che te ne vai e arriva il giorno
non mi hai sentita
l’altra volta
quando ti ho detto
quanto sei bella?
Maledetta notte
che non mi ascolti e poi vai via.”
La notte è il tempo dei ripensamenti, del riposo, del trasognamento, contrapposta alla brusca lucidità delle ore diurne, alle febbrili attività del mattino.
Le ombre sanno ricoverare e custodire un animo ferito molto meglio di quanto non possa fare la luce del giorno.
“Io ti aspetto sempre
con contentezza
ti venero in segreto
facendo finta
alla luce
di temere il buio.”
Qui la metafora delle tenebre viene capovolta: non è più un elemento da sconfiggere o rifuggire, come nei testi biblici, per esempio. Rappresenta anzi un accoglimento gentile, un nascondiglio, un luogo confortevole in cui trovare linimento e pace per i patemi del proprio animo.
“Maledetta notte
che poi finisce
e io smetto di sognare.”
Così si conclude la poesia, con una maledizione rivolta alla notte per la sua brevità.
La fine della notte significa la fine di quel riparo dalla brutalità del giorno. L’obbligo di tornare a vivere, anche quando la vita può apparire insopportabile, una vita che non sa più riservare alcuna gratificazione.
Meglio il buio assoluto allora e quel conato di annichilimento che esso porta con sé. Meno dolorosa la rielaborazione onirica della realtà che la realtà stessa.

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