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J.H. Yasmin è un’autrice italo-egiziana, nata e cresciuta a Roma e trasferitasi al Cairo in giovane età.
“La mia patria sono io” è il suo primo libro: nove brevi biografie, raccontate dalle protagoniste stesse, che svelano con coraggio i soprusi e le violenze che le donne sono costrette a subire oggi in un luogo così geograficamente vicino a noi come l’Egitto.
Infibulazione, matrimoni combinati, sottomissione a tradizioni patriarcali e repressive.
Come nella storia di Noura.
Noura avrebbe voluto diventare maestra, ma accettò di buon grado di rinunciarvi per sposare un uomo scelto dai suoi genitori, Karim. Lui la mise in casa ad accudire il vecchio padre, lavare e cucinare. Gli anni passavano ma i figli non arrivavano.
“La madre di Noura iniziò ad allarmarsi seriamente quando trascorse anche il secondo anno senza che la figlia rimanesse incinta.
La portò quindi nel sottopassaggio ferroviario proprio nel momento in cui passava un treno, affinché, come dicevano le donne anziane, la paura la spaventasse abbastanza da sbloccarla.”
Nella tradizione egiziana non riuscire ad avere un figlio è una vergogna e una colpa.
Perciò Noura fu sottoposta ad altri rimedi popolari, umilianti e inutili, nonostante il medico l’avesse rassicurata sulla sua fertilità, mentre il marito diventava sempre più violento per la frustrazione.
Infine Karim la ripudiò. Gli bastò pronunciare per tre volte la frase “Io ti divorzio!”, come prevede la legge coranica.
In questi casi la donna è obbligata a tornare alla famiglia d’origine, segregata in casa per la vergogna che il ripudio getta su tutti i famigliari. La sua vita è rovinata per sempre senza che lei possa fare alcunché per impedirlo.
Per tutti gli anni che ancora avrà da vivere Noura dovrà sopportare la doppia condanna di prigioniera e di serva, costretta a sottostare alle esigenze e prepotenze dei genitori e dei fratelli.
In un momento in cui le donne finalmente iniziano a combattere per i loro diritti nei Paesi in cui per tradizione sono sottoposte a obblighi inconcepibili, questo libro rappresenta per le protagoniste un grido di verità, e per noi la possibilità di ascoltarle, affinché non abbiano rischiato invano.

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