Odiare è inutile, ama chi ti ha offeso, non serbare rancore, l’odio punisce chi lo prova più di chi lo provoca.
Questo ci dicono i saggi e i patriarchi. Tutto vero, anche se spesso ci sembra più facile a dirsi che a farsi. Tuttavia, in questo mio breve intervento, non voglio discutere di odio sotto un profilo morale, bensì estetico.
Se mi è concesso dare un piccolo consiglio a chi scrive (ma penso che valga anche per le altre forme espressive), non odiate mai ciò di cui narrate. Se trattate di un personaggio o di una situazione che vi sono particolarmente antipatici, trattenetevi dal calcare la mano, non fate mai trasparire i vostri sentimenti, cercate altre vie per delineare i contorni più biechi.
Magari state scrivendo quel testo proprio per colpire un particolare individuo (che sia un personaggio storico o un vostro incontro personale). Ebbene, non usate la vostra scrittura come un’arma contundente. Meglio l’arma affilata dell’ironia o quella più sgraziata, ma efficace, della satira. Potete parlarne in modo sarcastico, perfino in maniera crudele, ma senza che l’astio vi prenda la mano. Quest’ultimo, anzi, è un elemento che dovete bandire dalle vostre pagine.
Per scegliere il punto di vista giusto della narrazione, bisogna prima conoscere adeguatamente contesto e stile adottato. Se per esempio essi non consentono note ironiche, ricorrete al giusto distacco, se non addirittura all’indifferenza. Gli aspetti più esecrabili di quel certo soggetto o di quello specifico episodio emergeranno da soli, con naturalezza, senza che voi dobbiate spingerli o forzarli in nessun modo. Già questo basterà come vendetta o rivincita personale da parte dell’autore.
L’odio è un cattivo consigliere, sempre. Offusca mente e sguardo, rende il vostro lavoro sciatto e bilioso, perché sarete troppo occupati a dare sfogo ai sentimenti più cupi per controllare con la giusta freddezza la vostra ultima stesura.
P.G. Daniel