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«Lo volete capire, sì o no, te e l’amichetto tuo, che questo è un condominio di signori? Di persone per bene. Mica di pervertiti. Qua posto per i vostri gay pride non ce n’è. Mettetevelo in testa!» gli parla addosso uno di loro, non riesce a capire quale, a una spanna di distanza dal suo volto, con la bocca tanto piena di saliva che sembra idrofobo, che mentre parla gli riempie la faccia spaccata di sputi.
«Eh, ma quelli come loro sono abituati a metterselo da un’altra parte, mica nella testa…» gli fa l’amico. I quattro ricominciano a ghignarsela. Le loro voci rimbombano contro le facciate delle palazzine disposte a quadrato. Qualcuno dei casigliani si affaccia per capire cosa succede. Vede. Capisce. Tace. Rientra in tinello a seguire il programma di cucina che mandano sul primo canale all’ora di pranzo.
Qualcuno passa dal cortile. Vede e tira dritto. Pure la dirimpettaia di pianerottolo di Luciano e Carlo sta arrivando in quel momento. I quattro non si scompongono. Lei arriva sino a lì dal fondo del cortile, un passetto dopo l’altro, quand’è vicina guarda bene cosa sta succedendo. Neanche lei fiata. Abbassa gli occhi, sale le scale, scompare.
«Ma perché?» prova a domandare Luciano, a mezza voce, producendo piccole bollicine di sangue e saliva mentre parla. «Perché?» Anche se lo sa il perché. O meglio, sa che un perché vero e proprio per tutto quello che sta passando non c’è. Il sentimento che muove quei quattro non appartiene alla logica, ma alla pancia e agli istinti più rudimentali.
Luciano è a quattro zampe, quando gli arriva un calcio in pancia. Il colpo risulta fiacco. Però, è sufficiente a rivoltare Luciano su un fianco, già stremato com’è. Smette di muoversi.

Il brano è tratto dal racconto “Luciano”, che trovate nella raccolta “I confini del male”, edita da Pop Edizioni.
Vi si parla dei maltrattamenti fisici e psichici subiti dal protagonista solo per il fatto di essere gay. I suoi aguzzini sono dei condomini qualunque. Il racconto è ispirato a un fatto realmente accaduto a Torino non molto tempo fa. Eh sì, perché – per quanto si fatichi a crederlo – c’è ancora gente che si sente libera di censurare i comportamenti privati altrui che non approva.

 

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