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“L’auto si inoltra tra gli alberi, sinché può. Si sente gorgogliare un fiumiciattolo, poco distante. Quando il terreno si fa molle e il passaggio tra le piante troppo stretto, il capocantiere la parcheggia, di traverso, col muso rivolto verso un masso ricoperto di muschio. Sta ancora finendo la manovra che Elhadji all’improvviso, mentre fissa con sguardo incerto l’intrico di conifere immerse in una nebbiolina grigia che invade la visuale del parabrezza davanti a lui, nota un movimento rapidissimo da sopra a sotto che gli attraversa gli occhi, poi nemmeno il tempo di realizzare cosa fosse e avverte una stretta intorno al collo, qualcosa di sottile che gli comprime la gola, sempre di più, sempre più forte. Le mani corrono ad aggrapparsi al fil di ferro che gli avvolge la carotide, si spezza le unghie cercando di afferrarlo, di allentare la presa del metallo, ma non serve a niente.
È Nicolae, dietro di lui, che lo sta garrotando e intanto si sforza di ridere. Il capocantiere invece niente, guarda in avanti, impassibile, le mani adagiate sulla cima del volante, l’indice di una delle due che uncina una sigaretta senza filtro che si consuma lenta tra le dita. Sarà la sesta che accende di seguito.”

Quello che avete appena letto è un breve passaggio, piuttosto crudo, tratto dal racconto “Elhadji”, che trovate nella raccolta “I confini del male”, pubblicato da Pop Edizioni.
Lo scenario in cui la vicenda prende l’avvio è un cantiere, gestito da un italiano. Chi dà il titolo al racconto è un muratore di origini africane, messo a lavorare in nero e senza alcun tipo di tutela legale. Quando il capo-cantiere subodora che costui abbia intenzione di spifferare in giro gli intrallazzi cui il cantiere fa da copertura decide di liquidarlo. Per far questo utilizza come esecutore un altro straniero, di diversa etnia.
Oltre a ispirarsi a fatti di cronaca reali, l’episodio può assumere facilmente un valore metaforico più esteso: subordinati che vengono aizzati strategicamente l’uno contro l’altro. Una guerra tra poveri che non può che giovare a chi segretamente la fomenti, cercando di trarne il maggior vantaggio, senza dover pagare il fio delle proprie cattive azioni.

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