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“Lo allatta al seno e lui non cresce, lo cambia e lo culla e lui piange disperato.
Lei si sente in gabbia, con l’acqua alla gola, vorrebbe uscirne, ma non può. È una di quelle scelte che, se la compi, ci resti dentro tutta la vita.
Questo pensiero la fa impazzire. Tutta la vita. Dietro a quello sgorbio mai contento, che urla, la sveglia di notte, non la ama, per quanto lei si impegni a farlo stare bene, sembra che lo faccia apposta, sembra volerla distruggere, sgretolare, fisicamente e psicologicamente.
Si sente uno straccio e più fa e più le sembra di sbagliare.
Certe volte, nel cuore della notte, quando Marcolino si sveglia di soprassalto e strilla, strilla, e lei lo prende su dal lettino per farlo riaddormentare, dopo un po’ si sorprende a urlare anche lei, più forte del bambino, e più lei urla più frigna lui, e allora lo scuote, lo insulta: «Piccola serpe, perché sei venuto a rovinarmi la vita?».
Almeno sino a quando non arriva Alberto, che glielo strappa di mano e prova a riportarlo alla calma, con quell’aria da Padreterno, come per farle capire che lei è scema, che è un’incapace.”
Il brano che avete appena letto è tratto dal racconto “Marcolino”, che trovate nella raccolta “I confini del male”, scritta da P.G. Daniel e pubblicata da Pop Edizioni.
Parla di una neo-mamma assillata dal suo nuovo ruolo, che incomincia a intravvedere nel proprio figlio un nemico, anziché un dono riservatole dalla vita. L’epilogo sarà dei più tragici, rispecchiando tanti casi di cronaca che abbiamo potuto leggere con orrore in questi anni.
Ci sono molti temi impliciti all’interno di questo breve racconto, in gran parte legati ai giorni nostri: l’impreparazione a diventare madre, la solitudine a cui il contesto sociale attuale sembra condannarla – al contrario dell’assistenza che le donne di casa più esperte prestavano un tempo alla puerpera –, l’abisso della depressione post partum, ma anche il desiderio di una gravidanza forse cercata più come una tappa obbligata che per un reale istinto materno.

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