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“Da quando qualcosa si era rotto tra di loro più nessuno ci entrava, là dentro, a parte una ditta di pulizie una volta ogni semestre per cambiare aria agli ambienti, fare la polvere, controllare se ci fosse qualche elemento da far riparare.
Olimpia ha accettato di tornarci un’ultima volta, giusto per un sopralluogo veloce. Per portarsi via un paio di quadri, un mobiletto. Tanto per cominciare ad arredare la casa nuova: l’appartamentino nel quale si trasferirà in pianta stabile la prossima settimana. In fondo qualche oggetto di valore può sempre tornare comodo, pensa.
Ci andrà a vivere con le due figlie. Ogni tanto ospiterà il nuovo partner. Comincerà andandoci coi piedi di piombo, questo è il minimo, ma quella situazione, lei ancora a casa del marito, a far finta che tutto proceda come prima, sta assumendo ai suoi occhi una piega morbosa. È il marito che sinora ha voluto mantenere una solida facciata, “i sepolcri imbiancati”, come recita il Vangelo, ma ora lei non ci sta più. Non le va più di giocare alla famigliola altolocata per non macchiare l’immagine pubblica del grand’uomo. Non gliene frega niente. È ora di pensare alla sua, di vita.”
Il brano che avete appena letto è tratto da “Olimpia”, racconto presente nella raccolta “I confini del male”, scritta da P.G. Daniel e pubblicata da Pop Edizioni.
Fa il paio con un altro racconto dal titolo “Annamaria”: in entrambi i casi si parla di donne che, a fatica e dopo lungo tempo, riescono a emanciparsi da un marito dispotico. Appartengono a classi sociali diverse, ma faranno tutt’e due una brutta fine. Il femminicidio non guarda il ceto d’appartenenza.

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