Quando leggiamo un romanzo particolarmente avvincente, la sensazione davvero impagabile è quella di riconoscersi nei personaggi, rispecchiarsi in loro, sentire come proprie le loro emozioni.
Commuoversi, infuriarsi e trepidare come se quelle parole fossero esattamente le nostre, e nostri quei desideri (nella inevitabile incoscienza del “prima”), e quelle delusioni (nel triste disincanto del “dopo”).
Il romanzo di Maria Tina Bruno, “La turista italiana”, ha fatto di questa simbiosi con il lettore il suo tratto distintivo: nei tanti irresistibili personaggi che popolano le sue pagine, tra la spietata Milano e la selvaggia Creta, vediamo e riconosciamo un campionario umano difficile da trovare in letteratura, dove più spesso la tendenza è quella di idealizzare, abbellire e mascherare, trasformando in stereotipi quegli impulsi e impulsività fin troppo comuni in ciascuno di noi.
In particolare la protagonista, Claudia, è l’anti-eroina per eccellenza: una donna ferita, piena di difetti, incapace di portare a termine qualunque progetto, troppo impetuosa, troppo orgogliosa, troppo incoerente.
Il “troppo”, infatti, è proprio la dimensione che più la caratterizza, mentre la vediamo lanciarsi a capofitto nella sua (dis)avventura cretese, divisa tra i dolori del passato e l’istintiva tendenza a rialzarsi, tra la paura di sbagliare per l’ennesima volta e la generosità ad accogliere il nuovo.
Ogni volta, Claudia non sa cosa sia più giusto fare né come farlo. E però non smette di provarci. Infatti, seguendo le sue vicende, e adeguandoci al suo passo mai lineare, mai definitivo, assisteremo con lei a una girandola di intoppi, equivoci, vittorie, semi-vittorie e plateali sconfitte.
Ma nessuna di queste sarà il punto finale del suo percorso: come in ogni vita vera, Claudia rimane impossibile da classificare univocamente.
Vincente, perdente, capace, incapace, che importa? Nella vita di ciascuno è il percorso che conta, non il finale, è la bellezza del viaggio che ci dà la forza di proseguire, non la meta.
Un romanzo da leggere tutto d’un fiato per riscoprirsi magnificamente “difettosi”.