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Per la nostra rubrica, interamente dedicata a tutti gli scrittori del socio-cosmo, oggi vi presentiamo il testo di Simona La Solitaria.

Continuate ad inviarci le vostre creazioni e noi continueremo a darvi voce!

 

Quando fissiamo la nostra attenzione su qualcosa, forse, è per il timore che quel che vediamo potrebbe sparire. Siamo attratti da ciò che non è stabile, ma in continua e preoccupante trasformazione (preoccupante perché qualcosa che ci piace potrebbe andare perduto, sfuggire allo sguardo e non ricomparire).
Lui era l’esatto opposto di questo. A vederlo, aveva l’aria di uno che se ne stava lì e ci sarebbe rimasto per sempre. Pur essendo in grado di muoversi, a guardarlo sembrava che si trattasse di un movimento incapace di produrre un qualche tipo di reale trasformazione.
Dovunque lui andasse, in ogni posto in cui si muovesse, non provocava alterazioni. Durante e dopo, lui non lasciava traccia di sé.
E se questo per me era abbastanza sconfortante, perché toglieva mordente a qualunque situazione insieme, per lui non costituiva di certo un problema, infatti era solito dire: la vita, mia cara, non è una superficie piana e ancora tiepida su cui imprimere i propri segni, ma una superficie piana su cui scivolare senza imbarazzo, con poco disagio, provocando meno rumore possibile.
L’assoluto anonimato era diventato il suo ideale di vita, la sua vittoria su questo mondo che ostinatamente lo ignorava da sempre. La sua risposta a qualunque domanda. Era immerso in un grigio vischioso, in una melassa invisibile? Sì, e non gliene importava niente.
Ma invece a me piacevano il blu oceano e il rosso tiziano, e perciò non gli ho più risposto al telefono.

 

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