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“I confini del male” è una raccolta di racconti scritti da P.G. Daniel. Ogni racconto prende nome dal protagonista, vittima di aguzzini che vigliaccamente amano infierire su persone innocue, indifese, deboli, per un qualche tornaconto personale o anche solo per uno scellerato divertimento.
Come nel caso di Ernestina, un’anziana affetta da demenza senile che i familiari hanno relegato in un ospizio improvvisato, privo anche dei servizi essenziali, gestito da un uomo senza scrupoli: “Villa Livia ha chiamato quella catapecchia, ex casa cantoniera, in onore di sua madre, che a suo tempo ha fatto morire tutta sola in una corsia di ospedale con i segni di percosse ancora addosso, gonfia e blu come una susina matura”.
Luciano non esita a usare violenza verso i propri ospiti anche nella maniera più abbietta. Tanto sa che non fiateranno.
Li considera una manica di rimbambiti, che non ci stanno più con la testa, che quando blaterano nessuno li ascolta, perciò lui se ne approfitta per dare libero sfogo alla propria brutalità, incentivato dall’assoluta indifferenza dei parenti:
“I soldi che aveva da parte li ha riutilizzati per aprire un ricovero per anziani non autosufficienti. Per farlo non ci vuole un titolo di studio, ci vuole la somma che basta a prendere un’abitazione da chiamare ospizio, abbastanza ampia da ricavarci una decina di stanze in cui infilare queste amebe delle quali i familiari non vedono l’ora di disfarsi”.
Ogni racconto di questo libro è un pugno allo stomaco, perché racconta la verità.
P.G. Daniel, con uno stile asciutto e volutamente avalutativo, cala il lettore in uno scenario realistico quanto disturbante, per metterci in guardia sulle pericolose derive che larghe frange della nostra società stanno ormai assumendo.
Un libro duro, durissimo ma necessario.

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