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“Il mare fa paura mentre rolla e si lamenta come lo stomaco di un’immensa belva che ha fame.
Il vento fa paura mentre fischia e ti sferza contro la faccia come un pugno gelido e invisibile, ogni volta che ti sbatte addosso. Il barcone fa paura mentre beccheggia tra le onde alte e schiumose, pronte a inghiottirti, poco poco che ti sporgi, come i grandi artigli di un predatore vigliacco, che si approfitta della spossatezza delle sue vittime per digerirle in uno stomaco abissale fatto di acqua fredda e buia, in pasto a banchi di pesci voraci.
Ragazzi, bambini, donne, tutti raccolti a babordo, per ricevere calore uno dal corpo dell’altro, guardano verso quell’orizzonte che si stende a perdita d’occhio davanti a loro come un nulla impastato di acqua salmastra e di un pallido cielo. In fondo, che scompare e riappare tra i cavalloni, si vede una punta scura. È la terraferma. La guardano come si guarda all’ultima chance. Come l’affamato guarda il frutto succoso verso cui tende la mano. E però quel frutto, più lui allunga il braccio e più gli si sottrae da sotto le unghie, in una sfida infinita e impari.
Avvolti dentro coperte termiche dorate, appaiono come tanti cioccolatini ancora da scartare. Guardano a quel biancore misto di liquido e aria così accecante che fa male agli occhi, e fissano quello scarabocchio più scuro, perso là in mezzo. Lo fissano. Muti. Tristi. La bocca la usano solo per vomitare il latte e le gallette stantie che gli hanno dato come pasto. È l’ondeggiamento incessante che rimescola gli stomaci.”
Quello che avete letto è l’inizio del racconto “Quarantanove”, che trovate in “I confini del Male”, Pop Edizioni.
Il tema trattato è di stringente attualità, visto che proprio in questi giorni l’ex-ministro che, per mere ragille onde per giorni è chiamato a rispondere delle sue azioni in un tribunale siciliano.
Lui continua a sostenere di averlo fatto per difendere i confini nazionali. Quello che dimentica di dire è che la minaccia era rappresentata da un gruppetto di morti di fame, tra cui molti bambini e donne incinte, già reduci dalle prolungate torture dei campi libici.

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