Quando l’anima soffre, i pensieri turbinano in un vortice di negatività, si è soli al buio, in preda all’angoscia e al dolore. Ed è con la speranza di sentire meno dolore che si affilano le armi per farsi del male.
Ferite, morsi, tagli per lasciare segni visibili sul corpo nel tentativo di lenire il dolore del cuore.
Ci si illude che il sangue possa ricucire gli squarci procurati da altre violenze, che non si ha il coraggio di raccontare e di affrontare.
È la via percorsa da Miriam, una delle nove donne protagoniste del libro “La mia patria sono io” di J.H. Yasmin.
L’autrice italo-egiziana ha raccolto le loro storie, ha ascoltato direttamente dalla loro voce i drammi della condizione femminile in Egitto, dove continua a imperare una tradizione fortemente maschilista.
Miriam è una donna come tante altre, che non viene creduta quando prova a raccontare i ripetuti abusi del patrigno. In famiglia tutti fanno finta di non capire e di non accorgersi del suo dolore.
Sono storie che appartengono anche alla realtà italiana: le molestie, le violenze, l’indifferenza, il silenzio. Ma nel nostro Paese, di solito, le donne non vengono rinchiuse, segregate in casa, picchiate e obbligate a tacere.
È quel che accade, invece, a chi osa ribellarsi nell’Egitto dei nostri giorni.
Impotente dinanzi a una famiglia che le impone sofferenza e castigo, Miriam decide di torturare il corpo per far tacere lo spirito.
A volte la salvezza è la distanza.
Quella da frapporre tra sé e ciò che uccide giorno dopo giorno, costrette tra l’impossibilità di realizzarsi e il futuro che si sogna.
A volte la salvezza è anche trovare il coraggio di raccontare la propria storia, sapendo che qualcuno ci ascolterà tra le pagine di un libro.