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Qual è la differenza tra il dialetto e lo slang?
Sono entrambi sotto-lingue, per così dire, recalcitranti alle imposizioni e alle regole dell’idioma nazionale.
Entrambi sono banditi dall’ufficialità istituzionale e sono coltivati da gruppi ben più esigui della maggioranza. Eppure il loro uso, a ben vedere, è diametralmente opposto per ragioni storiche e geografiche.
Il dialetto è legato al passato. È da un dialetto – come dicevamo nel post della settimana passata – che in Italia nasce la lingua madre.
I dialetti restano relegati a una funzione comunicativa pre-unitaria, precedente all’alfabetizzazione statalizzata su larga scala. Per di più il dialetto è circoscritto al localismo e serve a escludere il valligiano confinante, il cui parlato differisce quanto ad accenti e vocaboli.
Lo slang, al contrario, pur confinato ad ambienti specifici (lo slang giovanile, lavorativo, sportivo ecc.), anche grazie a un’ampia diffusione mediatica è spesso condiviso a ogni latitudine da quella certa rappresentanza sociale.
Lo slang è fluido, soggetto a continue mutazioni, suscettibile delle influenze linguistiche più disparate.
È di dominio pubblico, per quanto il bacino d’utenza possa essere ristretto, e chiunque può contribuire alle sue variazioni, qualora trovi una forma più convincente di quella che si usava sino a poco prima.
I termini più fortunati, poi, non di rado vengono adottati dal linguaggio comune, entrando di diritto nei dizionari scolastici.
(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)
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