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Già da molti anni ci si lamenta della graduale scomparsa del congiuntivo. È giusto chiedersi a che punto del processo stiamo.
Forse in realtà il congiuntivo, pur non passandosela benissimo, non sta scomparendo del tutto, e persisterà almeno entro certe nicchie linguistiche.
Di certo, considerando l’uso che comunemente se ne fa, viene usato molto meno e molto meno correttamente di prima.
Al suo posto, nella maggior parte dei casi, un onnipresente indicativo, il cui ruolo classico è quello di esporre un fatto assodato, reale, certo, mentre il congiuntivo ha una funzione dubitativa o ipotetica.
Proprio per questo motivo dire “Voglio che tu stai bene” è molto diverso dal dire “Voglio che tu stia bene”. Non solo il primo suona molto peggio del secondo, ma leva alla frase ogni valore augurale e ogni incertezza, nel caso del tutto legittima.
Come ben spiega il prof. Gian Luigi Beccaria: “Se l’indicativo indica certezza, e il congiuntivo ci dà invece la possibilità di esprimere meglio un nostro giudizio, una nostra ipotesi, un nostro dubbio, un nostro pensiero, non si vede perché si debba rinunciare al congiuntivo, dal momento che significa rinunciare a un mezzo che coglie intense sfumature. Non usarlo significa (forse) semplificare, ma certamente significa dire di meno”.
Di certo a sottolineare meglio il senso di inconcludenza del congiuntivo è stato proprio Totò: “Se fossi, se avessi e se potessi erano tre fessi che giravano per il mondo”.
(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)
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