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Parola deriva da parabola, il racconto evangelico attraverso il quale il Nazareno cercava di far comprendere la sua dottrina ai fedeli.
In effetti la parola conserva qualcosa di religioso, di metafisico, che va al di là della semplice essenza delle cose.
Forse anche qualcosa di fatato, se si vuole dare credito a quanto sostiene Freud in “Introduzione alla psicanalisi”: “Le parole erano originariamente incantesimi e la parola ha conservato ancora oggi molto del suo antico potere magico. Con le parole un uomo può rendere felice un altro o spingerlo alla disperazione, con le parole l’insegnante trasmette il suo sapere agli studenti, con le parole l’oratore trascina l’uditorio con sé e ne determina i giudizi e le decisioni. Le parole suscitano affetti e sono il mezzo generale con cui gli uomini si influenzano reciprocamente”.
La parola è un mezzo potentissimo, tuttavia assai facile da banalizzare, se non si sa calibrare a sufficienza l’uso che se ne fa.
Il primo sacerdote del culto della parola è lo scrittore.
Dovrebbe essere lui, sopra ogni altro, a sapersi destreggiare tra le insidie e le grandi suggestioni che le parole ci possono offrire, ma per farlo deve possedere una predisposizione naturale, basata su buon gusto e su un orecchio che sappia cogliere le sfumature dei vari suoni, mentre attribuisce a ogni singolo vocabolo il giusto valore e la collocazione più adeguata all’interno del testo.
Lo scrittore, quindi, deve essere prima di tutto un formidabile esteta.
(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)
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