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Perché uno scrittore non viene mai preso sul serio? Ve lo siete chiesto?
Sarà capitato a tutti coloro che si sono dilettati nella scrittura di trovare parenti o amici che li interrompessero proprio sul più bello con frasi come: “Visto che non stai facendo niente, potresti andare a comprare un litro di latte?”.
Scrivere è un’attività che non viene mai presa sufficientemente sul serio. Probabilmente neppure quando macina abbastanza soldi da poter essere definita un’impresa redditizia. Altrimenti il buon Conrad non avrebbe scritto: “Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo dalla finestra sto lavorando?”.
Si può star certi che almeno una delle quattro mogli di Hemingway rimproverasse il marito di attardarsi in sciocchezzuole anziché riparare il lavabo, magari proprio mentre lavorava al suo capolavoro.
Chissà, sarà l’azione fisica di fare scivolare la penna su un foglio o di picchiettare sopra una tastiera a rivestire scarsa credibilità agli occhi di un profano.
Sembra una cosa da poco vista dall’esterno, perché chi non ci ha provato (o perlomeno non ci ha provato seriamente) non può rendersi conto dell’enorme sforzo intellettuale, estetico e immaginativo richiesto alle meningi di uno scrittore, spremute come limoni pur di tirare fuori una pagina ben scritta.
Se ci si riflette, è paradossale che un impiego così robusto di energie produca l’apparenza di un impegno frivolo, che chiunque ci passi davanti si sente in obbligo di interrompere senza problemi…
(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)
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