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Prima viene la parola detta, poi quella scritta. L’uomo che un tempo interloquiva solo coi propri contemporanei, e per di più solo con quelli in sua presenza, un bel giorno desiderò comunicare anche con uomini distanti nello spazio e nel tempo.
Fu così che inventò la scrittura, che da allora tende a predominare sull’espressione parlata.
Anche oggi, in questo presente sconvolto da tecnologie impensabili fino a qualche decennio fa, lo scritto vince sulla parola. Stiamo ore a chattare sul computer, trasformando in frasi digitate ciò che ci diremmo a voce.
Addirittura il telefono, ormai immancabile nelle nostre mani ovunque siamo, ha perso la sua prima funzione, quella di trasdurre la voce da un capo all’altro, per trasformarsi essenzialmente in un emissario di messaggini scritti.
Come afferma Maurizio Ferraris, professore ordinario di Filosofia Teoretica presso l’Università di Torino: “L’evoluzione tecnologica non ha comportato la scomparsa della scrittura e il trionfo dell’oralità ma, proprio al contrario, si è caratterizzata per un’esplosione della scrittura. Tanto è vero che se per un po’ di tempo i telefonini avevano fatto a gara per rimpicciolirsi, poi hanno ricominciato a ingrandirsi, per avere uno schermo e una tastiera. Per scrivere, non per parlare”.
Questo, se da una parte può apparire come un continuo esercizio di scrittura, finisce in realtà per banalizzarla e lasciarle unicamente la funzione comunicativa immediata.
(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)
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