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La poesia è la forma letteraria più antica. Inizialmente, quando l’essere umano ha incominciato a scrivere storie, lo ha fatto in forma poetica.
Anche i trattati di astronomia o di medicina presso gli antichi venivano redatti con tale tecnica. Questo perché non sempre (o quasi mai) il testo veniva letto.
Il più delle volte veniva recitato agli ascoltatori e serviva una maniera efficace di ricordare le parole. La poesia fornisce molti più appigli mnemonici della prosa.
I primi poeti si servivano della metrica e degli accenti: l’interpretazione era molto simile a un canto, che facilita, appunto, la memorizzazione.
In un secondo momento si è passati alla rima, un altro modo di aiutare la memoria: una parola finale chiama quella successiva come in una filastrocca.
Se tutto ciò aiutava il cantastorie o l’aedo, poneva comunque dei limiti all’artista, che doveva riuscire a far passare il carico estetico dei propri versi nonostante il rispetto di questi trucchetti.
Infine venne il verso sciolto e l’abbandono di ogni rima baciata o allitterazione. Fu allora che il poeta si scoprì pienamente libero di esternare i propri sentimenti senza più vincoli tecnici.
E dunque, al giorno d’oggi, come si può distinguere la vera poesia da una prosa camuffata che semplicemente va a capo a metà frase?
Resta solo la bravura dell’autore e il gusto del lettore per riuscire ad afferrare a orecchio una vera arte poetica capace di trasmettere l’essenza più pura, talora paradossale, della realtà.
(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)
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