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La storia della letteratura è in continua oscillazione tra una resa verista della realtà e una narrativa che invece fantastichi, ricostruisca o inventi di sana pianta.
Per la verità, come spiegava già Borges, questa distinzione è molto recente.
Sono gli scrittori degli ultimi secoli, con la nascita del romanzo borghese, che hanno creduto importante riportare su pagina una descrizione quasi cronachistica di quanto ci circonda quotidianamente.
Fino ad allora la letteratura è stata perlopiù una letteratura fantasy ante litteram: l’Odissea, la saga di Gilgamesh, la Commedia dantesca, l’Orlando Furioso, come pure i Vangeli o il Corano presentano molti più elementi fantastici che concreti.
C’è però una contraddizione interna a qualsiasi opera di narrativa: un romanzo realistico non è mai una fedele fotografia della realtà, non sarebbe arte, rappresenta piuttosto una rielaborazione fantasiosa operata dall’autore.
Invece, qualsiasi testo fantastico deve comunque restare ancorato in qualche modo a scenari abbastanza aderenti alla realtà contingente da poter far affezionare il lettore.
Si tratta, in altri termini, di un’immancabile dialettica tra immaginazione e osservazione attenta, comune a tutti i libri, a qualsiasi genere appartengano.
L’Inferno tanto immaginifico cantato dall’Alighieri non avrebbe mordente se non vi avesse descritto situazioni e personaggi reali. Lo stesso vale per le avventure di Ulisse, se il lettore non potesse rispecchiarsi nei suoi tormenti e passioni.
(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)
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