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Oggi parliamo di voce narrante di un’opera letteraria, ossia di chi assume l’incombenza della narrazione. Può essere di due tipi: l’io narrante, che parla in prima persona quale protagonista o testimone dei fatti, o il narratore in terza persona.
Quanto alla prima tipologia, benché vi sia in teoria una distinzione tra autore e agente, che è poi la differenza che passa tra Dante, putacaso, che descrive l’azione nella Divina Commedia e Dante che la vive, ridimensionato a essere un personaggio tra tanti altri, l’immedesimazione tra i due momenti è quasi automatica.
Per il narratore in terza persona la questione è più complessa.
Può anche essere una persona reale informata dei fatti, dei quali parla “da fuori”, ma, nella maggior parte dei casi, appare come un’entità completamente avulsa dagli eventi riportati, che egli osserva con il distacco di un occhio estraneo.
Almeno dal secondo dopoguerra a oggi, si è tentato di rendere sempre meno ingombrante questa voce “off”. Se, infatti, sino dai tempi di Omero, il narratore, per quanto distante per tempi e luoghi da quel che raccontava, mostrava di conoscere ogni singolo aspetto della materia trattata, dai dettagli degli oggetti ai più riposti pensieri dei suoi eroi, come un dio onnisciente di fronte alla propria creazione, recentemente si preferisce dargli meno spazio: le nuove regole vogliono che non possa sapere più dei protagonisti della storia e che venga tutt’al più a conoscenza di nuovi particolari insieme a loro, strada facendo.
(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)
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