Spesso gli scrittori amano atteggiarsi a spiriti tormentati, i cui parti letterari, alla stregua di tutti gli altri parti, nascano tra indicibili travagli.
La verità è che scrivere dà loro un piacere immenso, che supera di gran lunga qualsiasi altra soddisfazione la vita possa riservare. Altrimenti non si spiegherebbe perché un tizio a un certo punto decida di isolarsi dal mondo circostante per profondere ogni suo più intimo sforzo nella stesura di una bella pagina.
Quel tizio rinuncerà spontaneamente alla compagnia dei suoi simili, alle più urgenti passioni della carne, a godersi una bicchierata o una passeggiata sotto braccio con la sua bella pur di inchiostrare un foglio bianco con le sue trame e i suoi personaggi.
L’essere umano è portato a tornare ancora e ancora verso ciò da cui trae maggiore piacere. Se c’è qualcuno che preferisce consumarsi in uno sforzo intellettuale come questo, anziché abbandonarsi a piaceri quotidiani senz’altro più semplici da ottenere, parlare di un sacrificio auto-imposto appare più che altro come una mistificazione.
La cosa più probabile invece è che non ci sia nulla che lo gratifichi quanto riuscire nella temeraria impresa di rendere nella maniera più chiara, attraverso il mezzo narrativo, quel che fino a un attimo prima si agitava e premeva, ancora confuso e non pienamente definito, nella sua mente. La soddisfazione è duplice: aver creato qualcosa di buono ed essersi infine liberato di fantasie tanto opprimenti, in attesa delle successive.
(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)
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