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Come spiega Freud in “Psicopatologia della vita quotidiana”, neppure un numero o un nome possono essere inventati di sana pianta. La mente umana ha bisogno di riferimenti a qualcosa di pregresso e conosciuto per formulare elementi apparentemente nuovi. Figuriamoci per quel che riguarda la costruzione di un personaggio fittizio. È impensabile che il protagonista di un libro sia unicamente frutto dell’immaginazione del suo autore. La cosa più facile è che sia stato ispirato da uno o più incontri fatti nella vita reale.
Si dice che per la conturbante figura di Albertine, almeno per quanto concerne la personalità, Proust avesse preso le mosse niente meno che dal suo autista e amante Alfred Agostinelli. Oliver Gogarty, stretto amico di James Joyce negli anni giovanili dublinesi, si vide trasformato nell’estroverso Buck Mulligan, che apre l’“Ulysses”. La petulante moglie di Dickens sembra abbia fornito abbondante materiale nei suoi scritti per le presenze femminili più irritanti.
Talora riprodurre un conoscente attraverso il mezzo narrativo può assumere una funzione vendicativa: al contrario dei comuni mortali, lo scrittore, anziché perdersi in inutili confronti dal vivo con la persona da cui ritiene di aver subito un qualche torto, ha il privilegio di sfogarsi con la propria arte.
E anche se siete in buoni rapporti con uno scrittore, non crediate di scampare l’eventualità di finire tra le sue pagine sotto mentite spoglie. Se un lato del vostro carattere, un dettaglio fisico, un particolare modo di esprimervi o di gesticolare colpirà la sua fantasia, state certi che ritroverete quel vostro tratto dissimulato dentro la sua opera.

(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più.)

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