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Invece di sorridere, questa frase bisognerebbe farsela tatuare in un posto che sia sempre visibile, per esempio la fronte. Solo chi scrive può riflettere per ore su una virgola, senza venirne a capo, perché conosce il bianco di una pagina che tace: tu la guardi, lei ti guarda e non succede niente. Apparentemente. Perché il perdurare dell’attesa, al contrario di quanto si creda, è un’azione progressiva che striscia sotto la pelle e, quatta quatta, scova l’ispirazione e la sbudella. Si avventa sul doloroso equivoco del talento, smembrandolo pezzo a pezzo, mentre la creatività inorridita assiste e urla, cerca riparo altrove e in un battito svanisce. E finalmente lo scrittore è libero. Senza aspettative, manie di grandezza e zavorre, lo scrittore è libero di continuare ad aspettare che non succeda niente. Nel silenzio assoluto dell’attesa, non oppone resistenza e rinuncia a cercare in quel vuoto un senso, perché lo sa, lo scrittore lo sa, che in certi giorni non accade niente. I più scaltri, dopo dodici ore trascorse inutilmente, scriveranno su quella pagina bianca “Io non mi arrendo”, per poi rifugiarsi nel sonno, avviliti e vinti. I meno scaltri, feriti dall’assenza di un evento narcisistico e creativo, scriveranno sul cellulare “Mi manchi. Volevo dirtelo” e lo invieranno a uno qualunque degli amori passati, con la speranza di trovare conforto e magari un buon argomento. Non fatelo: si scatenerà un inferno di sentimenti fraintesi e bugie a ritroso. Quando la pagina tace, imparate a rispettare il silenzio, restate solidi, non oscillate, non siate preda della suadente idea di aver fallito. Abbiate fiducia, le parole torneranno e saranno quelle sbagliate, ma perlomeno avrete qualcosa da scrivere, cancellare, per poi ricominciare. “Ricetta della settimana”: dopo aver lavorato scrupolosamente a un testo, con onestà, generosità e rigore, lasciatelo decantare per una settimana. Non leggetelo, non modificatelo, dedicatevi ad altro. Trascorsi sette giorni, leggete il testo ad alta voce e, nel frattempo, registratevi. A riascoltare la vostra voce, il testo vi apparirà quasi estraneo, come se non l’aveste scritto, e potrete coglierne ogni imperfezione.

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