Stiamo vivendo momenti eccezionali, inutile nascondercelo. È impensabile che ciò non si rifletta nella letteratura corrente, per via diretta o sotto mentite spoglie.
L’anno scorso, in piena emergenza Covid, il noto scrittore Aldo Nove lamentava il fatto che ormai non si facesse altro che parlare della pandemia in corso, ovunque, e invocava un cambio di prospettiva e di argomenti.
Le sue richieste, specie perché avanzate da uno scrittore di una certa levatura, apparvero subito fuori tono: la scrittura è da sempre specchio dei propri tempi, è chiamata per sua natura a descrivere e interpretare gli avvenimenti a essa contemporanei, anche i più trascurabili. Figuriamoci quando si tratta di un evento epocale come nel caso di una malattia che ha condizionato la vita di miliardi di persone.
È sicuro: la pandemia lascerà senza dubbio un’impronta in gran parte dell’attuale produzione letteraria che i critici del futuro non mancheranno di analizzare.
D’altronde, lo stesso Decameron del Boccaccio narra di un gruppo di ragazzi della Firenze bene del tempo, che, per sfuggire alla peste nera che ha colpito la città, falcidiandone gran parte degli abitanti, si rifugia nelle campagne intorno e lì, per svagarsi dall’angoscia causata da momenti tanto brutti, si intrattiene con novelle cariche di vitalismo, come a esorcizzare la morte incombente.
La letteratura non può certo ignorare la storia, deve semmai trarne spunto per affidare ai posteri la sua testimonianza, diversa dalla semplice cronaca.
(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)
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