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Nel giugno del 1969 in Christopher Street a New York ebbero luogo i celebri moti di Stonewall.
Da allora, giugno è considerato globalmente il mese dedicato ai diritti degli omosessuali, il cosiddetto Pride Month.
Luglio è il mese dedicato alla disabilità, marzo il mese dedicato alle donne, febbraio il mese della Black History (storia nera) nel mondo angloamericano. Mesi che ospitano rassegne, marce, proteste, parate, e iniziative atte non solo ad affermare l’orgoglio di tutte queste comunità poco rappresentate negli spazi pubblici, ma soprattutto a pretendere quei diritti che ancora richiedono lotte e battaglie.
Quest’anno, a fronte di proteste e parate cancellate per l’emergenza sanitaria, abbiamo visto tutte queste manifestazioni spostarsi online, spesso anche sotto l’egida di questo o quel brand, che sbandierava il proprio supporto alle varie cause, e il cui logo, in giugno, è talvolta perfino diventato arcobaleno. Per poi, però, tornare a essere quello di sempre, alla fine del mese.
Questa tendenza ad approfittarsi delle battaglie per i diritti civili a scopo di marketing è detta “rainbow washing”, una parola che ricorda il “pinkwashing”, che invece descrive il modo in cui le aziende strumentalizzano le battaglie per i diritti delle donne, e che si è pronunciata spesso in marzo.
Ma possono queste grafiche rosa e arcobaleno della durata di trenta giorni sostituire le parate e le dimostrazioni?
Se da una parte tendiamo a pensare che l’appoggio di grandi aziende a queste istanze sia un bene, dall’altra dobbiamo ricordarci che la bandiera arcobaleno e la mimosa non possono ancora essere utilizzate come gadget e gingilli decorativi, se il sistema legislativo, giuridico ed economico non riconosce ancora la piena parità dei generi e degli orientamenti sessuali, né offre la giusta difesa a chi ogni giorno affronta pericoli e avversità.
Va tracciata una linea netta tra tendenze commerciali e vera lotta ideologica.
Una linea che dobbiamo tenere ben presente, per non accontentarci di qualche logo modificato, o di qualche spot inclusivo, e per ricordarci sempre che c’è ancora molta strada da fare.

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