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Il brano che avete appena letto è tratto dal mio romanzo “Il sangue non fa rumore”, pubblicato da Pop Edizioni.
Ricordo perfettamente il momento in cui ho creduto di aver disimparato a respirare.
Ho iniziato a tenere sotto controllo il ritmo con cui il mio petto si muoveva e a posare la mano sul cuore indagando ogni battito, come se da un giorno all’altro inspirare ed espirare fosse diventata un’azione volontaria, non più automatica, come se fossi io a dover pilotare il mio respiro e a governarlo, pena l’asfissia.
Mi mostravo tranquilla, eppure dentro di me aumentava il timore di essere in pericolo: durante il giorno inghiottivo più aria di quanta me ne servisse e la sera mi addormentavo con il terrore di soffocare nel sonno.
Questo assillo condizionava il mio umore e le mie azioni, ero tormentata dal pensiero di un grave problema fisico, un difetto del cuore.
Finché qualcosa è esploso dentro di me, mi ha tolto il fiato e sigillato la gola. Quel giorno ho chiesto aiuto, perché credevo di morire.
Una voce sconosciuta mi ha calmata, spiegandomi che quella sensazione non aveva niente a che fare con la morte, era un attacco di panico: tre parole semplici da tenere a mente.
Dopo quell’episodio ce ne sono stati altri, ma sapere che cosa fosse mi ha sempre riportata a galla. Tantissime persone vivono ogni giorno questa paura, perché sentirsi “sotto attacco” è un’esperienza comune.
La protagonista del mio romanzo, Nia, non è mai riuscita a dare un nome al peso che per tutta l’infanzia ha trasportato nel petto e che da adulta è diventato un macigno. Perciò ha il terrore di quella “sensazione indefinibile” che non l’abbandona mai.
Nia non ha chiesto aiuto.
Nessuna voce le ha spiegato come fare a dominare quella sensazione orribile. Perciò la sua solitudine e la difficoltà di crescere da sola si sono trasformate in un universo impossibile da affrontare, se non ricorrendo a uno stile di vita crudele e opprimente.
(Lilia Scandurra)

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