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La RETE, il WEB, bisognerebbe soffermarsi più spesso a ragionare su questa ambiguità semantica: di entrambi si può finire prigionieri.
Ѐ così che si scopre che Internet ha due facce, quella che si vede e che sembra un grande parco divertimenti, e quella che non si vede e che può mostrarci l’abisso.
Uno strumento che ancora non sappiamo usare consapevolmente, per il quale non si riceve l’educazione necessaria e che è relativamente recente.
Come ogni trappola che si rispetti, l’apparenza è quella di un succoso e prelibato bocconcino, salvo poi finire come animali braccati da un cacciatore, senza rendercene conto.
Ѐ questa la storia di molte persone che sentendosi al sicuro inviano foto intime su WhatsApp al loro partner, non contemplando l’ipotesi che questi possa poi farci ciò che vuole.
Ancora più grave è la facilità con cui queste foto o video iniziano a girare, complici i retweet o repost, sui vari gruppi social.
Non c’è violenza più grande che colpire dove ognuno è più vulnerabile: l’intimità. Ѐ infatti opinione comune che debba essere il più possibile nascosta e tenuta al sicuro.
Forse la causa profonda di fenomeni come il Revenge Porn sta nel fatto che la sessualità viene ancora considerata un tabù tanto grande da diventare facilmente uno strumento di coercizione e vendetta: foto in Rete, ricatti, violenza sessuale, molestie sul posto di lavoro.
Eppure non si sottolinea mai abbastanza che la vittima non “se l’è cercata”, perché ciò che ha fatto non è sbagliato, non è mai una colpa: nella propria intimità ognuno ha il diritto di fare ciò che vuole, ma non può in nessun caso violare la fiducia dell’altro condividendo immagini intime senza il consenso esplicito della persona ritratta.
È evidente che se noi tutti smettessimo di alimentare questa logica della colpa, la persona danneggiata non si sentirebbe così tanto giudicata.
(Sonia F.)

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