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Come ogni domenica, vi presentiamo un brano tratto dalla nostra pagina FB e IG @DonnenonfacciamoloinRete, nata per tutelare le donne e i minori dai pericoli del web.
Qualche mese fa, Camera e Senato hanno approvato un decreto legge contro la violenza di genere. Parrebbe un’ottima notizia, ma il provvedimento, invece di concentrarsi sulla prevenzione, si focalizza sul mettere una pezza quando ormai il danno è già fatto.
Il decreto infatti parla di “prevenzione secondaria”, che ha luogo quando ormai la violenza è stata attuata e la vittima ha denunciato.
Sulla scia del decreto, la regione Sicilia ha lanciato un’iniziativa: promuovere l’assunzione di donne sopravvissute a un tentato femminicidio e che riportano danni permanenti (attenzione a questo dettaglio) e degli orfani delle vittime di violenza di genere, agevolando il loro inserimento nella pubblica amministrazione.
La Sicilia è la regione che conta il numero più alto di femminicidi in Italia, dunque posso capire l’entusiasmo delle associazioni antiviolenza siciliane, ma veramente vogliamo accontentarci delle briciole?
Questo intervento governativo subordina l’assunzione di una vittima di violenza ai segni che porta addosso.
Un ragionamento che in primis alimenta la cultura dell’oggettificazione dei corpi, e che non tiene conto del fatto che la violenza di genere non si esprime sempre e solo tramite percosse e acido. Proprio al Sud, infatti, spesso si esprime soprattutto come violenza economica e psicologica.
In Italia solo il 68,8% delle donne è economicamente autonoma. E 1 su 3 non ha un conto corrente (nel 2024!).
Quante di loro subiscono il controllo e non sono in grado di allontanarsi da una situazione violenta?
Questo provvedimento riduce la violenza di genere a segno fisico, a uno sfregio. E insegna ai violenti a non lasciare tracce.
È triste se bisogna festeggiare per un provvedimento che seleziona gli aiuti alle vittime in base alla presenza o meno di cicatrici e mutilazioni.
(Sonia F.)

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