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“I Confini del Male” di P.G. Daniel è una lettura forte, che affronta la materia scura senza il velo della retorica né la maschera di generi a cui tutto è permesso, come l’horror o il thriller. Nei suoi racconti, ventitré casi di cronaca nera sono proposti con la serenità scientifica di uno scrittore che accetta la scommessa della cruda realtà, a fronte di una scrittura limpida, attenta alle voci delle vittime, dei carnefici e di chi lascia fare. “True crime” e vera letteratura.

Questa “verità” gode da sempre di un certo appeal, ma i “true crime” che invadono i media, un ibrido fra informazione e fiction che gode di molta fortuna, confondono anche un po’ le carte.
In questi giorni Patrizia Reggiani è oggetto di un trattamento di questo tipo. Circola sul web, come anticipazione, lo stralcio di un’intervista nella quale racconta come e perché ha commissionato l’omicidio del marito Maurizio Gucci nel marzo del 1995.
Vale la pena ascoltarla e guardarla: siamo ai vertici di qualcosa che negli Usa era all’ordine del giorno già vent’anni fa e lasciava noi forse un po’ spaesati. La signora Reggiani non è pentita, non ha un movente tragico o passionale da melodramma, il suo racconto è piatto, senza ornamento, senza pathos: “Avevamo quattro case a Cortina, e lui non ne voleva dare nessuna alle mie figlie”, o ancora: “Siccome io non sapevo tirare, chiedevo a tutti se volevano uccidere mio marito, finché ho trovato questa banda bassotti…”.
C’è qualcosa di surreale e scontornato in questa testimonianza, nessun dubbio, nessun conflitto interiore. Solo soldi, potere, influenza. L’unico conflitto che suscita è quello dello spettatore: cosa vuol dire guardare questa signora vistosa e truccata raccontare serenamente le sue buone ragioni per l’omicidio? Che senso ha questo programma?
Sul caso Gucci è in lavorazione un film di Ridley Scott con protagonista Lady Gaga, e pare che alla signora Reggiani l’idea non sia piaciuta, forse perché teme di venire oscurata dalla fama di attori e regista. E ha ragione, l’arte è immensamente più profonda del suo racconto, nel quale i confini del male neppure si intravedono.

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