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In Giappone li chiamano “hikikomori” (letteralmente “stare in disparte”). Con questo termine vengono indicati quei giovani che scelgono di autorecludersi nelle proprie case, spesso in una stanza, senza avere più nessun tipo di interazione fisica con la società esterna.
È quello che sta accadendo a circa 54mila ragazzi italiani, secondo una recente stima dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa.
Risulta infatti che più del 2% della popolazione italiana tra i 15 e i 19 anni non metta piede fuori dalla propria cameretta per periodi di tempo anche piuttosto prolungati: si parla addirittura di 6 mesi di emarginazione volontaria, nei casi più gravi.
L’unico loro contatto con il mondo esterno restano la televisione, Internet e i videogiochi online.
Da quanto si apprende dalle interviste poste a un campione anonimo di adolescenti, ciò che li spinge a rifiutare l’incontro con gli altri è un senso di inadeguatezza, molte volte alimentato da atti di bullismo o cyberbullismo subiti in passato.
Un altro dato che sorprende è che genitori e insegnanti tendano a prendere queste espressioni di fobia sociale come un dato di fatto, senza nemmeno cercare di parlarne con gli interessati o di investigare sulle ragioni che li hanno portati a questa decisione estrema e, certamente, dolorosa.
Oggi numerose iniziative promosse da associazioni come il Gruppo Abele tentano di recuperare alla socialità questi ragazzi, facendoli partecipare ad attività individuali o insieme ad altre persone che vivano simili disagi.
Le vecchie raccomandazioni fatte dalle mamme di una volta (“Esci, guarda che bel sole che c’è fuori”) suonerebbero sicuramente superficiali se rivolte a ragazzi che trovano grosse difficoltà a interfacciarsi con i coetanei e a interessarsi ai normali passatempi giovanili.
Per aiutarli a non sprecare la loro giovinezza non basta una bonaria esortazione, ma è assolutamente necessario un lavoro paziente e continuativo unito a un adeguato supporto psicologico.
Se i vostri figli si rifiutano di uscire di casa per un lungo periodo non consideratelo un capriccio o un normale tratto caratteriale: è sintomo di un disagio profondo.

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