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Di recente il Garante della privacy ha sanzionato il Comune di Roma e la municipalizzata Ama in merito alla gestione del “cimitero dei feti”.
La legge stabilisce che vengano sepolti regolarmente sia i bambini nati morti che i feti superiori alle 20 settimane. Al di sotto delle 20 settimane, invece, c’è bisogno del consenso dei genitori.
Ebbene, si è scoperto che nel camposanto dedicato alla loro sepoltura sulle croci, in mancanza del nome del defunto, veniva esposto quello delle donne che avevano deciso di interrompere la gravidanza.
Sembra che ciò avvenisse più che altro per incuria, dovuta a un’automatizzazione burocratica: l’Asl forniva i nominativi, che venivano scritti inizialmente sui documenti di accompagnamento della salma, quindi sul registro interno e, da ultimo, sopra le tombe. Così, senza neanche pensarci.
La perdita prematura di un figlio o il percorso che porta alla decisione di abortire sono esperienze quanto mai dolorose. Siamo certi che chiunque abbia affrontato questi difficili momenti non voglia che il proprio nome sia sbandierato pubblicamente.
Bene ha fatto il Garante a condannare il Comune e l’azienda specializzata a quasi mezzo milione di euro di multa.
Per (comprensibile) timore che non riuscisse ad arrivarci da sola, ha poi imposto alla direzione dell’Asl di criptare i nominativi oppure usare sigle o pseudonimi nelle necessarie comunicazioni, in modo che un brutto episodio come questo non rischi di ripetersi.

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