Quanto posto ha l’eros nelle nostre vite? Quanto il sesso sublime?
Nonostante l’edonismo dilagante, lo spazio di queste dimensioni sacrosante della vita sembra restringersi sotto l’assedio della cronaca.
Sono passate poche settimane dal caso Genovese ed ecco un altro imprenditore, Antonio Di Fazio – doppia se non tripla personalità, a discolparsi reciprocamente – con il suo rituale da stupratore seriale: aggressioni a giovanissime ragazze, contattate per un colloquio di lavoro, drogate, abusate fotografate, insultate, minacciate.
Gli inquirenti ancora devono fare il conto. Sta di fatto che a Milano in un anno ci sono stati 70 casi analoghi.
Come possono notizie di questo tipo raggiungerci senza sfiorarci? Senza annidare nel nostro mondo interiore il tarlo di quella guerra in corso fra uomini e donne, che ci impedisce di abbandonarci con allegria all’incontro con un maschile non violento, non malato, non insidiato a sua volta dal fantasma di Barbablù?
Naturalmente, considerare tutti gli uomini dei mostri sarebbe stupido oltre che assurdo, ma i territori dell’eros e dell’anima non viaggiano su bei ragionamenti, hanno antenne troppo lunghe e sensibili. Proprio come la poesia che è, probabilmente, il grande rimedio e l’eterno laboratorio per il nostro desiderio ferito.
Lo dimostrano le poesie di Roberta Margiotta nella raccolta “Ero feroce in sogno”, cariche di un pathos magnetico e solenne.
“Non lasciamo prove
o dimostrazioni, noi
che forse
non esistiamo
e abbiamo come unici testimoni
concreti e tremendi
i brividi sulla mia pelle
quando con le tue labbra
la benedici.”
In queste poesie è difficile non cogliere l’eco di un immaginario aggressivo e dolente. Ma è un furore in cui c’è anche desiderio e tenerezza, e l’energia di questa giovane poetessa è tale da fare spazio alla luce di un Eros di cui sentiamo una disperata mancanza, quell’Eros che dobbiamo invitare e accogliere nelle nostre vite come un ospite di riguardo che abbiamo lungamente aspettato.