Tutti abbiamo una serie di attività che consideriamo “antistress”.
Una lunga passeggiata, un caffè tra amici, un buon libro.
Da qualche anno, però, il benessere psicologico è diventato oggetto di marketing selvaggio, e su di noi si sono abbattuti una serie di rimedi venduti con la promessa di liberarci all’istante dallo stress.
E per i bambini?
I maghi del marketing si sono inventati soluzioni al limite del surreale come i fidget spinner, o i prodigiosi “Pop It”, coloratissimi giocattoli che hanno riempito spiagge e bancarelle e che promettono di regalare immediata tranquillità.
Niente più capricci: a tenere buoni i bambini ci penserà un giocattolo.
Sorvolando su quanto sia irrealistico credere che un giochino possa influire sul benessere mentale di un bambino, e sorvolando su quanto saranno inquinanti i due euro che servono a comprare altra inutile plastica, la domanda che bisognerebbe porsi è: perché i bambini hanno livelli di stress paragonabili a quelli degli adulti?
Cos’è successo alla stagione spensierata dell’infanzia?
La pandemia, certo. Nell’ultimo anno il benessere psicologico di adulti, bambini e adolescenti è rimasto in fondo alla lista delle priorità.
Tra aperture e chiusure delle scuole, rimaneggiamenti settimanali della DAD e solitudine, a nessuno è venuto in mente di offrire un concreto supporto psicologico, con l’istituzione di consultori scolastici o di un’ora a settimana dedicata alla discussione delle angosce degli studenti in questa complessa realtà durante e dopo il Covid-19.
Ovviamente l’importante era concludere i programmi annuali – e i risultati dei test Invalsi hanno dimostrato quanto poco abbia funzionato concentrarsi unicamente sulla didattica –, mentre moltissimi bambini erano costretti a seguire le lezioni su mezzi tecnologici inadatti o in contesti domiciliari complessi e faticosi.
Dopo un anno e mezzo di scempio, e nonostante gli accorati (quanto inascoltati) appelli di innumerevoli psicologi, la soluzione ci arriva dalle bancarelle: i Pop It.
Ed ecco che è ricominciato un altro anno di scuola, nella precarietà più totale.
Ma davvero non sappiamo fare di meglio per i nostri figli?