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27 settembre 2021.
Una data che per molti rappresenta un giorno come un altro.
Ma non per gli abitanti della piccola Repubblica di San Marino. Perché questo giorno, per loro, ha segnato una vittoria: quella del sì al referendum popolare per l’abolizione della legge contro l’aborto, che condannava qualunque donna decidesse di compiere questa scelta a una pena minima di sei anni di reclusione.
Con questo sì, gli uomini e le donne di San Marino, uniti nell’affrontare un nemico comune, ovvero una mentalità chiusa e opprimente, hanno riscritto la storia.
E per farlo è bastato un segno a matita su una scheda. È bastato il coraggio di schierarsi dalla parte di una scelta libera, in totale autonomia.
Un risultato accolto come una conquista fondamentale dalle donne de “l’Unione delle Donne Sammarinesi” (Uds), che da diciotto anni lottano per la depenalizzazione dell’aborto e l’abrogazione di una legge ingiusta, datata, promulgata per la prima volta nel 1865, per non concedere alle donne la libertà di decidere se divenire madri oppure no.
Una legge creata oltre 150 anni fa per negare il giusto supporto, sanitario e psicologico, a una decisione così difficile, delicata e personale, senza sentirsi giudicate, dichiarate colpevoli, trattate alla stregua di criminali senza scrupoli.
“Le donne hanno avuto fiducia in noi.”
Queste le parole con cui le rappresentanti del direttivo Uds hanno accolto il trionfo del sì a un referendum per cui tanto si sono battute e in cui hanno creduto fermamente.
Parole che sono specchio di una solidarietà non soltanto femminile, ma umana, portatrice di un doveroso rispetto per la conquista di diritti inalienabili, che ancora oggi, purtroppo, si fatica a riconoscere.

 

 

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