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Da troppo tempo si parla di crisi dei migranti e di quello che sta succedendo in Bielorussia negli ultimi mesi.
Carovane di rifugiati provenienti soprattutto dal Medio Oriente vengono spinte dal governo bielorusso ad attraversare i confini dell’Unione europea in Polonia, Lettonia ed Estonia.
Migliaia di persone fra uomini, donne e bambini intrappolate fra due fuochi in una terra di nessuno.
Da una parte la Polonia li respinge a colpi di gas lacrimogeni, dall’altra il regime di Alexander Lukashenko li accoglie concedendo visti turistici, per poi lasciarli nelle mani dei trafficanti.
Senza cibo né acqua, con temperature che di notte scendono abbondantemente sotto lo zero, non si contano più i morti.
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha definito inaccettabile il tentativo disperato del regime di Lukashenko di destabilizzare l’Unione e i suoi valori.
Ma quali valori?
Forse quelli della “Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino” del 1789, che costituisce l’essenza delle democrazie europee occidentali?
Sembra proprio che i diritti dell’uomo siano garantiti nella misura in cui egli è cittadino.
I rifugiati dimostrano che il diritto dell’essere umano in sé e per sé non viene preservato, una volta usciti dai confini del proprio Stato.
Il migrante non è più né cittadino né uomo, e lotta per la sua vita con una disperazione che per la maggior parte di noi è inimmaginabile. Ma la crisi dei migranti è la crisi degli Stati Nazione che difendono la fortezza Europa, e questo riguarda tutti.
C’è una bella poesia di Wystan Hugh Auden sulla condizione degli ebrei tedeschi rifugiati in America durante la Seconda guerra mondiale:
“Il console batté il pugno sul tavolo e disse:
Se non avete un passaporto siete ufficialmente morti:
ma noi siamo ancora vivi, mia cara, siamo ancora vivi”.

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