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Quel giorno è arrivato l’8 dicembre 2021 e Patrick Zaki è uscito dal carcere dopo 22 mesi di detenzione in Egitto.
La sua liberazione però non equivale ancora alla fine dell’incubo, infatti Patrick a febbraio sarà di nuovo sotto processo: si deciderà della sua assoluzione.
Il trentenne è stato accusato dal governo egiziano di minacciare la sicurezza nazionale, incitare proteste illegali, e di aver pubblicato su Facebook alcuni post antigovernativi.
Patrick è un attivista per i diritti umani e di genere, ed è iscritto a un master europeo all’Università di Bologna, la “sua” città.
Il 7 febbraio 2020 si era recato in Egitto per andare a trovare la sua famiglia, non sapendo di avere un mandato di arresto a suo carico.
Così, una volta atterrato all’aeroporto del Cairo, era stato catturato dalle forze dell’ordine egiziane e di lui non si era saputo più nulla per le 24 ore successive.
Quando si ebbero di nuovo sue notizie si trovava a Mansura, una cittadina a qualche decina di chilometri a nord della capitale, dove sembra sia stato sottoposto a un brutale interrogatorio e torturato.
Dal regime di Abdel Fattah al-Sisi fu disposta contro di lui la custodia cautelare.
Solo nel luglio del 2020, dopo ben 5 mesi di carcere preventivo, si svolsero le prime udienze del processo.
Così, di prolungamento in prolungamento, il mandato di arresto fu protratto fino al 7 dicembre 2021.
La detenzione ingiusta di Patrick rende evidente una grossa falla all’interno del sistema diplomatico internazionale europeo: la subordinazione dei diritti umani agli interessi economici e commerciali.
Ѐ necessario, invece, che la crescita economica dei Paesi europei che aderiscono alle convenzioni dell’ONU avvenga nel rispetto e nella difesa dei diritti e della dignità delle persone.
L’Europa non può essere circondata da dittature che negano le libertà fondamentali dell’uomo senza reagire.
La dignità di un Paese e di un continente si misura sulla sua volontà di difendere questi diritti.

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