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In Sardegna, una gara di calcio della categoria Giovanissimi è finita 40 a 0.
È vero, il calcio anche a livello giovanile è agonismo, ma deve essere un’occasione di crescita e, ovviamente, di divertimento.
Con un risultato del genere, l’agonismo non ha più senso. Siamo davanti a una vera e propria umiliazione, tanto che la Procura Federale della Figc ha aperto un’inchiesta.
A Tortona, vicino ad Alessandria, un bambino di 13 anni è stato picchiato da alcuni ragazzi più grandi perché portava il turbante tipico della comunità Sikh a cui appartiene.
Due tra le più recenti storie di bullismo avvenute in Italia negli ultimi mesi.
Ma i veri responsabili di questi episodi non sono i giovani giocatori che hanno segnato quaranta gol e neppure gli adolescenti che hanno picchiato un ragazzino che non voleva togliersi il turbante.
Non esistono bambini o adolescenti cattivi per natura.
Al contrario, ci sono pessimi esempi dai quali assorbire come spugne.
Uno stuolo di “educatori” sbagliati: dai genitori troppo occupati per seguire seriamente la crescita dei propri figli, agli allenatori concentrati su traguardi e risultati e non sul valore dello sport, fino ad arrivare agli insegnanti, troppo spesso disattenti o sconfortati.
Nel quartiere Fidene, a Roma, un’insegnante è stata accusata di aver fatto disegnare a bambini di seconda elementare i gironi dell’Inferno di Dante con i nomi dei compagni di classe che avrebbero voluto vedere morti.
Non si può puntare il dito solo su chi compie atti di bullismo. È ingiusto e semplicistico.
Se alcuni adolescenti di oggi si rivelano spietati è perché nessuno, forse, mostra attenzione e cura nei loro confronti.
Se si mostrano aggressivi con un bambino è perché, forse, sono stati a loro volta vittime di vessazioni.
Che ci piaccia o meno: siamo noi adulti i “mandanti” della violenza giovanile e del bullismo.

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